Nella letteratura fantascientifica di metà 900, mentre la corsa allo spazio alimentava fantasie di viaggi galattici e civiltà interstellari, apparve per la prima volta il neologismo “terraformare”, termine che indica una serie di processi artificiali atti a rendere un pianeta inospitale più simile al nostro mondo.

Oggi, sebbene le nostre possibilità tecniche siano ben lontane da qualsiasi terraformazione, il concetto sembra ritornare nel dibattito pubblico e nelle conversazioni social, in risposta al crescente grado di invivibilità del nostro pianeta: cambiamento climatico, polarizzazione, tensioni internazionali, intolleranza e il mutare ostile di città e tecnologia ci portano sempre di più a immaginare cosa succederebbe se ci venisse data la possibilità di ricominciare da zero, lontano da qui, lontano dal mondo che abbiamo costruito, e quindi, in ultima analisi, lontano dalle nostre responsabilità.

Ma anche se fosse possibile, trasferirci su un altro pianeta mantenendo le stesse abitudini e le stesse convinzioni porterebbe comunque allo stesso esito. Per questo non abbiamo scelta: l’unico pianeta che possiamo terraformare, l’unico corpo celeste che possiamo “rendere più abitabile”, l’unico spazio che possiamo “rendere più vivibile” è proprio il nostro.
Come? Terraformando, innanzitutto, le nostre idee.